Le Galline Felici

Il sito del Consorzio Siciliano “Le Galline Felici” ci accoglie con queste parole: “Coltiviamo rispettando la natura, vendiamo rispettando la gente. Creiamo occasioni di occupazione gioiosa rispettando la dignità del lavoro. Promuoviamo lo sviluppo armonico del territorio. Sosteniamo la crescita della concorrenza perché per noi concorrere significa correre assieme”.

Ne abbiamo parlato con Roberto Li Calzi fiamma iniziale di questo fuoco che si sta espandendo nel catanese: 35 aziende ufficialmente coinvolte, una trentina in attesa di entrare, 150 famiglie tra operai del consorzio e dipendenti delle singole aziende.

D. Com’è nata l’idea del consorzio Le Galline Felici?
R. Per disperazione. L’agricoltura non funziona per via dei mercati che sono soggetti alle intermediazioni che riducono il margine per l’agricoltore a zero o sotto zero. In un momento in cui, dopo aver investito tutto le mie energie e il mio progetto di vita nell’agricoltura, mi ero trovato espulso da questo settore, su consiglio di mio fratello ho cominciato a vendere ai GAS. Presto ho coinvolto amici perché i miei prodotti non bastavano più, svolgendo un’attività fortemente commerciale, acquistando dagli amici e rivendendo i prodotti, ma con un atteggiamento non commerciale, dando il massimo agli amici. C’è voluto un paio di anni per coinvolgerli in un’esperienza di cooperativa, perché c’era diffidenza nei confronti delle forme associative. È stato un passaggio molto felice, perché ci ha permesso di continuare a crescere. 

D. Dove sono i vostri clienti?
R. Abbiamo iniziato in Italia, ma ora qui il mercato si sta assottigliando molto sensibilmente. Vendiamo in Francia, Belgio, Olanda e da gennaio abbiamo iniziato in Germania.

D. Il mercato si sta assottigliando per povertà o per poca coscienza?
R. Non per povertà, perché i nostri prodotti arrivano sui mercati a prezzi moderatamente competitivi qui in Italia. Però la situazione dell’Italia è disastrosa su tutti i fronti. Da alcune indagini sembra che la fiducia nel futuro sia più bassa in Italia che in Ruanda. La tendenza all’individualismo è più spiccata che altrove, e di fronte alla crisi la reazione più razionale sarebbe quella “uniamoci per affrontare meglio la crisi”. Invece la reazione che si sta verificando in Italia è di chiudersi ancora di più nel proprio individualismo. E questa esasperata tendenza all’individualismo ti porta a seguire i tanti “specchietti per le allodole” voluti dal mercato, inducendo a ridurre i costi dell’alimentazione per permetterti l’acquisto dei tanti prodotti. Si bada alla superficialità e non alla sostanza. I dati della correlazione tra la qualità del cibo e la salute sono davanti agli occhi di tutti. In altri Paesi c’è una coscienza più diffusa e una coerenza tra le affermazioni fatte emotivamente e le azioni fatte concretamente. Da noi spesso ci si dimentica dell’indignazione provata mezz’ora prima.

D. Quanto incide la vostra presenza sulla comunità in cui operate?
R. Se fai il raffronto tra i nostri numeri, che a noi possono sembrare grandi perché siamo piccoli, rispetto ai numeri dell’economia complessiva sono percentuali ancora assolutamente trascurabili. Sicuramente sugli intorni, specie dove è più visibile tutto questo movimento, incide molto sensibilmente, sempre di più di anno in anno. La differenza concreta e materiale tra la disperazione e l’abbandono (leit motiv dell’agricoltura) rispetto al fatto che entrando in relazione con Le Galline Felici ti viene lo stimolo a fare, anche perché se dal tuo agrumeto inizi ad avere un guadagnare ti viene lo stimolo a liberare, per esempio, la macchia di fichi dal roveto. Vedo un cambio di atteggiamento molto netto tra le aziende che sono coinvolte o che intravedono una possibilità di entrare nel giro del consorzio e le aziende che continuano a insistere sul chimico. Da un lato vedi l’abbandono, dall’altro vedi reinnesti, nuovi impianti, attività, lavoro. Dobbiamo fare delle cose per far comprendere agli altri che l’individualismo ti porta inevitabilmente verso l’abbandono, mentre lavorando assieme e occupandosi del bene comune puoi risollevare l’umore e poi risollevare l’economia. L’anno scorso abbiamo approfittato della presenza di un nutrito gruppo di giovanissimi volontari del Belgio, coadiuvato da alcuni migranti che lavorano con me, per pulire la strada, che ora si sta mantenendo pulita. Dal momento che a luglio avrò 4 squadre di volontari del Belgio, sto progettando di fare un lavoro molto più serio, coinvolgendo il vicinato, a cui ho detto “Signori è indecente che vengano dei ragazzi dal Belgio a pulire la munnezza che avete fatto voi: non vi vergognate? Facciamo qualcosa tutti assieme?” Dopo luglio di quest’anno voglio far diventare questa strada la più bella d’Italia, piantando anche fiori, piante grasse.

D. C’è una domanda che non ti abbiamo fatto e che tu avresti voluto che ti facessimo? 
R. Più che una domanda vorrei lanciare un piccolo segnale: vediamo di lavorare assieme a tutta la gente responsabile sul vero valore del cibo, su una comunicazione artificiale si gioca il futuro di queste terre: se la gente continua ad acquistare privilegiando il prezzo come elemento discriminante si sta condannando alle malattie, a tutta una serie di conseguenze alle quali non si pensa perché non ti ci fanno pensare. Per esempio un’indagine dice che a fronte di ogni euro speso per prodotti fatti senza rispetto per l’ambiente ci sono altri 2 € di costi occulti che tu non vedi, non paghi alla cassa ma che poi paghiamo tutti: di salute e di degrado dell’ambiente. Se vogliamo risparmiare indirizziamo l’economia e l’ambiente in una direzione, se facciamo scelte diverse ci diamo una qualche possibilità di futuro. Su questa cosa dobbiamo fare un lavoro concertato, fatto bene, di fruizione semplice, strumenti agili che mostrino con estrema semplicità tutte queste correlazioni e che cerchino di incidere a passettini sulla coscienza della gente e quindi sulle loro azioni.